Era nell’aria. E nel televoto. La vittoria di Roberto Vecchioni al 61esimo festival di Sanremo non è stata una sorpresa. Il professore era già in testa alla classifica delle preferenze. Ed era anche trapelato. Morandi e Mazzi si erano infuriati, già si gridava all’impeachment. Ma poi il buon senso ha voluto che a “Chiamami ancora amore”, il brano più bello in assoluto e più apprezzato dal pubblico a casa, da quello in sala e dagli addetti ai lavori, venisse data la giusta ricompensa. Una scelta condivisa a pieno anche dai giornalisti che quest’ anno hanno avuto parte attiva anche loro nel voto, grazie alla golden share. Una sala stampa soddisfatta, in festa, a mezzanotte e mezza, orgogliosa di aver contribuito ad una vittoria più che meritata. All’una arriva il verdetto. Vecchioni è il numero uno, seguito dai Modà con Emma e dal popolarissimo Al Bano, fiero del suo appeal musicale da sagra paesana e genuino come gli acuti vocali di "Amanda è libera". E già, la libertà. Quasi il suggello, di quello che è stato, insieme all’unione, il motivo dominante della formula Morandi, dove il motto “restiamo uniti”, tra il serio e il faceto ha catalizzato per quasi una settimana intera l’attenzione del pubblico che quest’anno il festival l’ha seguito davvero. Un risultato da record per gli ascolti. Buona anche la tenuta dell’ultima serata, con 12 milioni 136 mila, pari a uno share del 52.12%. La media ponderata della finale risulta di poco inferiore a quella del festival 2010 di Antonella Clerici (53.21%) e di quella dell’edizione 2009 di Paolo Bonolis (54.24%).
E Morandi ringrazia il direttore artistico Gianmarco Mazzi (“ci conosciamo da trent'anni, questo festival l’ho fatto con lui e con Lucio Presta”) e tutti i dirigenti Rai e ammette "questo festival non lo vorrei chiudere". Vecchioni ha raccolto quasi il 50 per cento dei consensi, i Modà con Emma il 40 per cento e Al Bano il dodici per cento, risultato che, dopo l’eliminazione da parte della giuria demoscopica e il ripescaggio, non è male. E’ l’una di notte quando viene dato l’atteso annuncio. Tutti sul palco a celebrare il vate della libertà, il cantore di un’umanità ferita, il portavoce di un malessere diffuso e di un dissenso legittimo, che nessuno può riuscire a imbrigliare. “Chiamami ancora amore, chiamami ancora amore, chiamami sempre amore perché noi siamo amore”, Vecchioni ricanta per la terza volta il suo brano, stavolta in maniche di camicia e senza gli inseparabili occhiali. “Grazie a te, Gianni. Se non mi fossi venuto a prendere tu, non ci sarei mai venuto qui. Sono contento di aver fatto capire che la canzone d’autore unita alla musica popolare può essere la vera grande scommessa per il futuro, la strada giusta da seguire”. Il pubblico dell’Ariston applaude, grida “Bravo Roberto, grande Roberto”. Vecchioni abbraccia tutti, compreso Beppe Vessicchio. Luca e Paolo si ricompongono, dopo essere andati a briglie sciolte su Arcore e aver passato in rassegna i valori della sinistra (“guardare il mondo con gli occhi dei più deboli, lotta dura senza paura, porte aperte agli immigrati, siamo tutti fratelli”). Niente censura. "Tanto è l'ultima sera e ormai nessuno vi può più cacciare", fa notare maliziosamente Morandi. E niente censura nemmeno per l' eleganza smaccata di Elisabetta Canalis che, a conti fatti, ha superato quella di Belen Rodriguez (anche se la statuaria argentina l'ha sorpassata in spontaneità e doti canore e danzanti), concludendo col sublime Giorgio Armani. E adesso? Un velo di malinconia. Spenti i riflettori su Sanremo, cala il siparietto della festa, dell'evento, della sfacciata celebrazione di un’ italianità frivola e pettegola, provincialotta e pacchiana. Che però, come sempre, è riuscita ancora una volta a far parlare di sè e a catturare anche solo per due minuti perfino l’ attenzione dei più distratti.
Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)
Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)
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