Alla fine non ha deluso le aspettative, Roberto Benigni. Le aspettative soprattutto del pubblico. E ha fatto il miracolo: ha risvegliato per qualche istante il desiderio di sentirsi italiani. Picco di ascolti di 19 milioni di spettatori, proprio mentre un Benigni giullaresco e da Oscar racconta agli italiani col suo linguaggio l’inno di Mameli, il loro canto. Quasi un’ora di grande spettacolo. Benignano, fino in fondo. Ingresso garibaldino sul cavallo bianco, tricolore a destra e a manca, riferimenti garbati alla filosofia del potere di Silvio Berlusconi, alle debolezze del Partito democratico. Sul finire, un chiaro appello a Umberto Bossi (“Umberto, la vittoria è schiava di Roma, la vittoria, capito?”). Effetto domino sul panorama politico? Macché. La Lega tira dritto. E sui festeggiamenti per i 150 anni dell’Unità d’Italia, il ministro Calderoli si affretta a precisare: "Fare un decreto legge per istituire la festività del 17 marzo, un decreto legge privo di copertura in un Paese che ha il primo debito pubblico europeo e il terzo a livello mondiale e in più farlo in un momento di crisi economica internazionale è pura follia. Ed è anche incostituzionale".
Una stonatura di troppo in un festival finora intonato. In una serata in cui le emozioni hanno dominato davvero. Come quando Morandi ha interpretato "Rinascimento", il brano scritto da Gianni Bella prima che lo colpisse un ictus e da Mogol (quest'ultimo in prima fila), salutando con una calorosa standing ovation il cantautore catanese fratello di Marcella, per intenderci quella delle montagne verdi. L'apoteosi del festival: lirismo benignano contornato da un misto di orgoglio italico e di populismo patriottico. Il leiv motiv della serata traspare nelle esibizioni dei big. Da “Viva l’Italia” di Francesco De Gregori, interpretata da un coraggioso Davide Van De Sfross a “Va’ pensiero” , uno dei cori più famosi della storia dell’opera tratto dal Nabucco di Giuseppe Verdi, cantato per l'occasione da Al Bano. Da "L'Italiano" con Tricarico e Toto Cutugno e “Mille lire al mese” con Patty Pravo alle nostalgie amorose di un combattente al fronte, “O’ surdato nnammurato”, in bocca a un Roberto Vecchioni in odore di vittoria o comunque di piani alti in classifica, fino alla malinconica “La notte dell’addio”, interpretata da Luca Madonia, con l’ orchestra diretta da un sempre più sfuggente Franco Battiato, e alla tragica vicenda d'oltreoceano di Sacco-Vanzetti che Here’s to you” ha risvegliato con i Modà accompagnati da Emma, primi su iTunes col loro brano in gara. Ciliegina sulla torta: l’afflato patriottico decisamente a tono di Elisabetta Canalis (“ultimamente trascorro sempre più tempo in America, ma l’Italia mi manca davvero tanto, mi sento più che mai italiana”), supportato dal buonumore danzante di Belen Rodriguez, immigrata accolta nel nostro Paese a meraviglia (e poi dicono che non siamo ospitali). Nella terza serata sanremese l’Italia era lì, c’era tutta, dal Manzanarre al Reno, ricostruita con grande fatica - come ha spiegato in conferenza stampa Gianni Morandi - grazie a un duro lavoro. Per una sera l’Italia è tornata a brillare di luci e paillettes, coi dovuti onori e ricordi, la sua gloria e la sua storia. Giusto per una sera, proprio (e solo) a Sanremo.
Prevedibile il ripescaggio da televoto di Al Bano-Tatangelo. Ora già si pensa a Robert De Niro, Monica Bellucci, ai novelli Take That. E ai duetti. Il pubblico ha sognato l’Italia, Morandi adesso sogna il bis. Basta crederci.
Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)
Una stonatura di troppo in un festival finora intonato. In una serata in cui le emozioni hanno dominato davvero. Come quando Morandi ha interpretato "Rinascimento", il brano scritto da Gianni Bella prima che lo colpisse un ictus e da Mogol (quest'ultimo in prima fila), salutando con una calorosa standing ovation il cantautore catanese fratello di Marcella, per intenderci quella delle montagne verdi. L'apoteosi del festival: lirismo benignano contornato da un misto di orgoglio italico e di populismo patriottico. Il leiv motiv della serata traspare nelle esibizioni dei big. Da “Viva l’Italia” di Francesco De Gregori, interpretata da un coraggioso Davide Van De Sfross a “Va’ pensiero” , uno dei cori più famosi della storia dell’opera tratto dal Nabucco di Giuseppe Verdi, cantato per l'occasione da Al Bano. Da "L'Italiano" con Tricarico e Toto Cutugno e “Mille lire al mese” con Patty Pravo alle nostalgie amorose di un combattente al fronte, “O’ surdato nnammurato”, in bocca a un Roberto Vecchioni in odore di vittoria o comunque di piani alti in classifica, fino alla malinconica “La notte dell’addio”, interpretata da Luca Madonia, con l’ orchestra diretta da un sempre più sfuggente Franco Battiato, e alla tragica vicenda d'oltreoceano di Sacco-Vanzetti che Here’s to you” ha risvegliato con i Modà accompagnati da Emma, primi su iTunes col loro brano in gara. Ciliegina sulla torta: l’afflato patriottico decisamente a tono di Elisabetta Canalis (“ultimamente trascorro sempre più tempo in America, ma l’Italia mi manca davvero tanto, mi sento più che mai italiana”), supportato dal buonumore danzante di Belen Rodriguez, immigrata accolta nel nostro Paese a meraviglia (e poi dicono che non siamo ospitali). Nella terza serata sanremese l’Italia era lì, c’era tutta, dal Manzanarre al Reno, ricostruita con grande fatica - come ha spiegato in conferenza stampa Gianni Morandi - grazie a un duro lavoro. Per una sera l’Italia è tornata a brillare di luci e paillettes, coi dovuti onori e ricordi, la sua gloria e la sua storia. Giusto per una sera, proprio (e solo) a Sanremo.
Prevedibile il ripescaggio da televoto di Al Bano-Tatangelo. Ora già si pensa a Robert De Niro, Monica Bellucci, ai novelli Take That. E ai duetti. Il pubblico ha sognato l’Italia, Morandi adesso sogna il bis. Basta crederci.
Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)
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