martedì 16 dicembre 2008

Intrighi e amori nei castelli della letteratura


I castelli della letteratura sono fatti di parole che si rincorrono sulla carta. Ma spesso sono quelli veri a ispirare le fantasie letterarie di molti scrittori.
Robin Hood, per esempio, li saccheggiava con le sue rapide incursioni, per sottrarre ai ricchi e dare ai poveri, già nel ciclo di ballate inglesi del XIV secolo, in cui la leggendaria figura dell’eroe ribelle, leale e generoso, incarnava l’espressione popolare del risentimento dei Sassoni oppressi nei confronti dei conquistatori normanni.


Attraverso gli amori tra cavalieri e castellane, la letteratura medievale realizza l’incontro tra ceti diversi. Chi non ricorda, ne “I cavalieri della Tavola rotonda” di Chrétien de Troyes, l’appassionante liaison tra Mordred e la bella Ginevra, moglie di Artù, leggendario re della Britannia, ritratto nei panni di Semola nel cartoon di Walt Disney “La spada nella roccia”.

L’ “Orlando furioso” di Ludovico Ariosto (prima stesura nel 1505), per dirla con Calvino “quell’immensa partita di scacchi che si gioca sulla carta geografica del mondo”, ci regala l’impalcatura di un poema cavalleresco in cui si fa largo la figura del castello di Atlante, dove tutto può accadere perché vi regna l’incantesimo, perfino la liberazione di Orlando e di altri cavalieri per virtù dell’anello di Angelica (XII, 29).


Nel 1819 Walter Scott pubblica l’ “Ivanhoe”, romanzo storico ambientato negli ultimi anni del XII secolo. Tra le pagine del libro, i castelli spadroneggiano, facendo da sfondo a diverse situazioni, come ad esempio la cena della giostra, nella quale Vilfredo d’Ivanhoe vince contro ogni avversario, ma proprio all’ultimo momento, quando sta per essere proclamato vincitore, viene sfidato da un misterioso cavaliere bardato di nero, sul cui scudo è cesellato l’arrogante motto "Cave adsum" (“Attento, sono qui”).


Spesso, durante gli anni di persecuzione delle streghe, i sotterranei del castello sono stati i luoghi dei più atroci delitti. Lì venivano tenuti i prigionieri in tempo di guerra.
Nell’Ottocento, la più importante figura del panorama artistico ad aver focalizzato il suo interesse proprio sui sotterranei è Edgar Allan Poe, narratore, poeta e saggista statunitense, che ne "Il ritratto ovale" del 1842 ritrae con cura la camera da letto di un castello, sottolineandone l’aria misteriosa e austera.
E sempre Poe, nel capolavoro indiscusso "Il pozzo e il pendolo" (1843) - racconto psicologico in cui vengono narrate le riflessioni di un condannato che, immobilizzato sotto una lama che si abbassa ad ogni oscillazione, aspetta nel terrore che gli squarci il ventre e finalmente lo uccida – fa del castello l’elemento catalizzatore di un’idea negativa del Medioevo, la denuncia delle atroci barbarie alle quali l’uomo si abbandonò durante questo periodo.


La letteratura del Novecento non declina l’invito e il castello dà il titolo all’opera più ambiziosa e importante di Frank Kafka, pubblicata postuma nel 1926. Qui, il castello incombe cupo e minaccioso sul paesaggio, facendosi metafora delle frustrazioni e delle angosce dell’uomo contemporaneo.


Immerso in un fitto bosco, “Il castello dei destini incrociati” di Italo Calvino (1969) dava rifugio a quanti la notte aveva sorpreso in viaggio: cortei reali e semplici viandanti. Un po’ come accade ai nostri giorni, lungo le strade.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it), pubblicato su "La Sicilia" del 17/12/2008

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