venerdì 12 dicembre 2008

Per ricordare Massimo Baldini, le fantaparole non servono

L’altro ieri mattina arrivo di fretta alla Luiss. Neppure il tempo di posare la giacca e apprendo la notizia. Il professore Massimo Baldini è morto all'età di 61 anni per un improvviso malore. Non riuscivo a credere alle parole dei miei colleghi. Con Baldini avevo scambiato quattro chiacchiere proprio qualche giorno fa, davanti alla porta d’ingresso della scuola di giornalismo che frequento da un anno. Certo, di quelle chiacchiere di cui si può fare anche a meno. Eppure io l’avevo chiamato. Non faccio niente che non senta di fare, e avevo sentito di farlo. Volevo in qualche modo ringraziarlo per la generosità del suo insegnamento che lo aveva portato a suggerirci, proprio durante il corso che tenne l’anno scorso, di rispolverare la cultura umanistica, evitando di abbandonarci a un linguaggio giornalistico che troppo spesso tradisce la sua reale vocazione, quella di informare, per imboccare la strada del sensazionalismo, del presunto scoop, fino alla deriva del falso e del costruito.

Massimo Baldini era il preside della facoltà di Scienze politiche, il direttore della Scuola superiore di giornalismo della Luiss. Ma era anche ordinario di Semiotica, docente di Teorie e tecniche del linguaggio giornalistico e radiotelevisivo e di Semiotica dei linguaggi specialistici alla Luiss “Guido Carli” di Roma e del master in Economia, gestione e Marketing dei turismi. Ma soprattutto Massimo Baldini era uno che aveva capito come andava il mondo e le regole non scritte di certi sistemi e di certi ambienti . E proprio per questo, dimostrava spesso un sereno distacco, segno di adesione a un sistema, ma con una parte di sé che amava starsene volutamente in disparte. Per non contaminarsi fino al collo, come a voler restare con un piede nella campagna toscana, rifuggendo i fumi inquinanti di smog della capitale.

Alto e magro, un volto sereno e un’espressione vagamente sarcastica, Massimo Baldini apparteneva a quella categoria di persone con cui personalmente non avevo molta confidenza. E quindi ebbi modo di conoscerlo ben poco.

Però, dal primo momento che lo vidi, pensai subito che fosse uno difficile da incantare, che non amava affatto perdersi in discorsi o cose inutili. A lezione, indossava sempre un impermeabile beidge e sfoggiava un look piuttosto sobrio, ordinato, ben curato. Lo stesso impermeabile gli permetteva di farsi scivolare addosso bassezze e mediocrità che gli ronzavano intorno. In un certo senso, sembrava imperturbabile e lo ammiravo per questo. Tuttavia, il suo accento toscano lo rendeva meno austero di quanto lasciasse sembrare. E, dopo un po’ che parlava, si abbandonava perfino a qualche confidenza. Come quando un pomeriggio, durante una lezione, ci raccontò di quante cose gli insegnassero ogni giorno i suoi nipoti, anche dal punto di vista linguistico (“non sapete che creatività tirano fuori quando parlano”) e ci parlò a viso aperto della sfida che ci attendeva: cercare di esercitare la professione giornalistica con onestà e assoluto con rispetto del vero, nell’attuale caos mediatico e nella mancanza di garanzie lavorative.

Ogni ricordo che si voglia scrivere lascia il tempo che trova. Massimo Baldini, per quelli come me che lo hanno conosciuto solo di sfuggita, resteranno il suo insegnamento e la sua sobrietà, nei modi e nel pensiero. E poi, naturalmente, i suoi libri. Per Dario Antiseri resteranno molte cose. E così anche per i suoi familiari e per tutti i colleghi che, al di là di un formale rapporto di lavoro, gli volevano bene davvero. Oggi resta il dolore del distacco, ma anche la speranza di continuare a sentirlo vicino.

I funerali si sono svolti sabato 13, alle 11,30, presso la Chiesa di S. Croce di Greve in Chianti (Fi).

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

Nessun commento: