E’ il luogo del terrore più cupo, rifugio di una malvagità astratta. Nel cinema dei due dopoguerra, il castello domina la scena e assume contorni spettrali. Proprio a voler simboleggiare lo sconvolgimento di un’epoca storica.
Le scenografie si fanno allucinanti e contorte e vengono firmate da grandi nomi del grande schermo come Paul Wegener (“Der Golem” , pellicola del 1914 di cui l’attore, regista e sceneggiatore tedesco fu anche il produttore, tratta dall’ omonimo romanzo di Gustav Meyrink, racconta di un mostro d’argilla creato magicamente da un rabbino durante il XVI secolo per proteggere gli abitanti del ghetto dalle persecuzioni volute dall'imperatore Rodolfo II), Murnau, Leni, Robinson e Grune.
Non a caso, prima ancora di questo periodo, nacquero due delle più importanti figure della narrativa - e poi del cinema- horror mondiale: "Frankenstein o il moderno Prometeo" (1818) e "Dracula" (1897), il romanzo epistolare che finalmente canonizzò uno degli archetipi della letteratura fantastica e dell’orrore, il vampiro.
Molte opere descrivono il castello come qualcosa di negativo, buio e pericoloso. Ma c’è anche un’altra faccia della cinematografia: quella della parodia e della satira, della presa in giro di motivi e gusti postmedioevali che invece avevano considerato questa struttura come una cosa seria.
Per esempio Mel Brooks, famosissimo regista di film comici come il recente "Robin Hood - un uomo in calzamaglia" (1993) e "Frankenstein Junior" (1974), con Gene Wilder alla sua seconda apparizione sul set. Qui il castello sfoggia tutti i suoi aspetti, ma sotto un’altra luce: quella dell’ironia pungente che critica tutto, dalla celebre scena in cui vengono messi in ridicolo i classici passaggi segreti a quella in cui viene schernita la leggendaria figura del dottor Frankenstein.
Negli ultimi tempi, con l’avvento dell’informatica, il cinema mondiale si è rinnovato, sfruttando tecniche prima sconosciute. Col computer, per esempio, è stato girato il cartone animato "La Bella e la Bestia" del 1991, prodotto dalla Walt Disney, in cui il castello è stato completamente sviluppato via software, generando un effetto di tridimensionalità assai realistico. Questa volta il castello diventa pura cornice dei fatti narrati e, a seconda del loro sviluppo, si modifica in modo da sembrare adatto alla situazione. Così, quando il protagonista sarà ancora bestia, il castello apparirà austero e tetro, mentre alla fine, quando la vicenda si sarà risolta, il castello, illuminato da un sole radioso, diventerà lo sfondo di un fatato "...e vissero felici e contenti".
Numerosi film in cui è presente il castello sono stati interpretati da Vincent Price – l’ attore cinematografico e teatrale statunitense di “Vertigine” (1944) e de “Il castello di Dragonwyck” del 1946 - che i più profani ricordano nella sua ultima autoironica comparsa in "Edward mani di forbice" (1990) di Tim Burton.
Il castello, dunque, seppure eternamente legato all’immagine di un Medioevo oscuro e barbaro, sarà anche ricordato come sfondo di epiche avventure di cavalieri coraggiosi e di esaltanti favole “sopra le righe”. Immortalato per sempre, oltre che grazie all’abilità di alcuni scrittori, anche per la magia del cinema che Codice Hays non esitava a definire “la prima forma di divertimento”.
Elena Orlando (elyorl@tiscali.it), pubblicato su "La Sicilia" del 17/12/2008
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